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Discorso del Santo Padre ai partecipanti dell’Assemblea generale di Caritas Internationalis

Cari fratelli e sorelle,
Dinanzi agli orrori e alle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, il Venerabile Pio XII volle
mostrare la sollecitudine e la preoccupazione della Chiesa intera per la famiglia umana, per le
tante circostanze in cui la vita di uomini, donne, bambini e anziani era minacciata e ostacolata, nel
perseguimento di uno sviluppo umano integrale, dall’imperversare dei conflitti bellici. Mosso da
spirito profetico, si pronunciò a favore dell’istituzione di un organismo che sostenesse,
coordinasse e incrementasse la collaborazione tra le già numerose organizzazioni caritative
attraverso cui la Chiesa universale annunciava e testimoniava, con gesti e parole, l’amore di Dio e
la predilezione di Cristo per i poveri, gli ultimi, gli scartati.
San Giovanni Paolo II volle evidenziare lo stretto vincolo che, sin dagli inizi, congiunse Caritas
Internationalis ai Pastori della Chiesa e, in particolare, al Successore di Pietro che presiede
all’universale carità [1]. Lo fece, anzitutto, richiamando alla sorgente dell’amore per la Chiesa, alla
consegna con cui Cristo ha fatto dono di sé ai suoi durante l’Ultima cena.
Non dobbiamo mai dimenticare come all’origine di ogni nostra attività caritativa e sociale si pone
Cristo che «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Nel
sacramento dell’Eucaristia, segno della presenza viva, reale e permanente di Cristo che offre se
stesso per noi, che ama per primo senza chiedere nulla in cambio, «il Signore viene incontro
all’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1,27), facendosi suo compagno di
viaggio» [2].
L’Eucaristia è per l’uomo. È cibo e bevanda che ci sostiene nel cammino, rinfranca nella fatica,
rialza dalle cadute, chiama ad accogliere liberamente il tutto di Dio per noi e per la nostra
salvezza.
Posti di fronte a questo mistero, grande e ineffabile, all’incondizionato e sovrabbondante dono che
Cristo ha fatto di sé per amore, rimaniamo meravigliati e, talvolta, sopraffatti.
Come i giudei che si sentirono trafiggere il cuore alle parole di Pietro, nel giorno di Pentecoste,
anche noi dobbiamo domandarci: «Che cosa possiamo fare, fratelli?» (At 2,37).
Possiamo entrare nel gioioso ed eccedente mistero della “restituzione”, della memoria grata e
riconoscente, che ci fa rendere grazie a Dio nella scelta di volgere lo sguardo al fratello che soffre,
che ha bisogno di cure, che necessita del nostro aiuto per ritrovare la sua dignità di figlio,
riscattato «non a prezzo di cose corruttibili, […] ma con il sangue prezioso di Cristo» (1Pt 1,18-19).
Possiamo ricambiare l’amore che Dio ha per noi nel diventarne segno e strumento per gli altri.
Non c’è modo migliore per mostrare a Dio di aver compreso il senso dell’Eucaristia che
consegnando agli altri quello che noi abbiamo ricevuto. Ecco un modo di intendere il significato più
autentico della Tradizione: quando in risposta all’amore di Cristo, ci facciamo dono per gli altri, noi
annunciamo la morte e risurrezione del Signore, finché egli venga (Cf. 1 Cor 11,26).
Èimportante ritornare alla fonte, l’amore di Dio per noi, perché l’identità di Caritas Internationalis
dipende direttamente dalla missione che ha ricevuto. Ciò che la distingue dalle altre agenzie che
operano nell’ambito del sociale è la sua vocazione ecclesiale e, all’interno della Chiesa, ciò che ne
specifica il servizio rispetto alle tante istituzioni e associazioni ecclesiali dedite alla carità è il
compito di coadiuvare e agevolare i Vescovi nell’esercizio della carità pastorale, in comunione con
la Sede Apostolica e in sintonia con il Magistero della Chiesa. Vi ringrazio per il lavoro che state
svolgendo sul partenariato e la cooperazione fraterna, come pilastri dell’identità cattolica di
Caritas, e vi esorto ad andare avanti in questo cammino.
Per incoraggiarvi a proseguire nel vostro impegno al servizio della carità, con larghezza di cuore e
rinnovata speranza, desidero invitarvi a rileggere con attenzione l’Esortazione post-sinodale
Amoris Letitia. In particolare, il quarto capitolo, sebbene riferito alla vita familiare e matrimoniale,
contiene degli spunti che possono tornare utili ad orientare il lavoro che vi attende in futuro e dare
nuovo impulso alla vostra missione.
Scrivendo alla comunità dei cristiani di Corinto, San Paolo afferma che la carità è la «via più
sublime» (1Cor 12,31) per conoscere Dio e cogliere l’essenziale della vita cristiana. Nel celebre
Inno alla carità, l’Apostolo precisa come la mancanza di carità svuoti di contenuto ogni azione:
rimane la forma esteriore, ma non la realtà. Anche le azioni più straordinarie, la generosità più
eroica, persino il distribuire tutti i propri averi per darli agli affamati (1 Cor 13,3), senza la carità non vale nulla.
Senza la confessione di fede in Dio Padre, che è principio di ogni bene; senza l’esperienza
dell’amicizia con Cristo, che ha mostrato al mondo il volto dell’amore trinitario; senza la guida dello
Spirito, che orienta la storia dell’umanità verso il possesso della vita piena (Gv 10,10), non rimane
altro che apparenza. Non più il bene, ma solo una parvenza di bene.
Sarebbe allora facile perdere di vista lo scopo della diaconia cui siamo chiamati: portare la gioia
del Vangelo, l’unità, la giustizia e la pace. Sarebbe facile assecondare quelle logiche mondane
che inducono a smarrirsi nell’attivismo pragmatico e a perdersi nei particolarismi che dilaniano il
corpo ecclesiale.
Èla carità che ci fa essere. Quando accogliamo l’amore di Dio e amiamo in Lui, attingiamo alla
verità di ciò che siamo, come individui e come Chiesa, e comprendiamo a fondo il senso della
nostra esistenza. Non soltanto capiamo l’importanza della nostra vita, ma anche quanto sia
preziosa quella degli altri. Distinguiamo chiaramente come ogni vita sia irrinunciabile e appaia
come un prodigio agli occhi di Dio.
L’amore ci fa aprire gli occhi, allargare lo sguardo, ci permette di riconoscere nell’estraneo che
incrociamo sul nostro cammino il volto di un fratello, con un nome, una storia, un dramma a cui
non possiamo rimanere indifferenti. Alla luce dell’amore di Dio, la fisionomia dell’altro emerge
dall’ombra, esce dall’insignificanza, e acquista valore, rilevanza. Le indigenze del prossimo ci
interrogano, ci scomodano, ci provocano alla sfida della responsabilità. Ed è sempre alla luce
dell’amore che troviamo la forza e il coraggio di rispondere al male che opprime l’altro, di
rispondere in prima persona, mettendoci la faccia, il cuore, rimboccandoci le maniche. L’amore di
Dio ci fa avvertire il peso dell’umanità dell’altrocome «un giogo soave e un carico leggero» (Mt
11,30). Ci induce a sentire come nostre le ferite che scorgiamo sul suo corpo e ci sollecita a
versare l’olio della fraternità sulle piaghe invisibili che leggiamo nella filigrana dell’altrui animo.
Vuoi sapere se un cristiano vive la carità?
Allora guarda se è disposto ad aiutare di buon grado, con il sorriso sulle labbra, senza brontolare
e adirarsi. La carità è paziente, scrive Paolo, e la pazienza è la capacità di sostenere le prove
inaspettate, le fatiche quotidiane, senza perdere la gioia e la fiducia in Dio. Per questo è il risultato
di un lento travaglio dello spirito, in cui si impara a dominare se stessi, prendendo coscienza del
propri limiti.
Èun modo di rapportarsi a se stessi da cui, poi, scaturisce quella maturità relazionale che ci porta
a riconoscere «che anche l’altro possiede il diritto a vivere su questa terra insieme a me, così
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com’è» (AL 92).
Uscire dall’autoreferenzialità, dal considerare ciò che vogliamo per noi come il centro attorno cui
far ruotare ogni cosa, a costo di piegare gli altri ai nostri desideri, non soltanto ci chiede di
contenere la tirannia dell’egocentrismo, ma domanda anche l’attitudine dinamica e creativa a
lasciare emergere le qualità e i carismi degli altri.
In questo senso, vivere la carità significa essere magnanimi, benevoli, riconoscendo ad esempio
che per lavorare insieme, in modo costruttivo, bisogna anzitutto “dare spazio” all’altro. Lo facciamo
quando ci apriamo al dialogo e all’ascolto, accettando con flessibilità le opinioni diverse dalle
nostre, senza irrigidirci sulle nostre posizioni, ma anzi cercando un punto di incontro, una via di
mediazione.
Il cristiano che vive immerso nell’amore di Dio non alimenta l’invidia, perché «nell’amore non c’è
posto per il provare dispiacere a causa del bene dell’altro» (AL 95).
Non si vanta e non si gonfia, perché ha il senso della misura, e non gode nel porsi al di sopra del
prossimo, ma anzi accosta l’altro con rispetto e con garbo, con gentilezza e tenerezza, tenendo
conto delle sue fragilità. Coltiva in sé l’umiltà, «perché per poter comprendere, scusare e servire
gli altri di cuore, è indispensabile guarire l’orgoglio» (AL 98).
Non cerca il proprio interesse, ma si impegna a promuovere il bene dell’altro e a sostenerlo nello
sforzo di conseguirlo.
Non tiene conto del male ricevuto, né propaga con il pettegolezzo quello commesso dagli altri, ma
con discrezione e nel silenzio affida tutto a Dio, senza dare adito al giudizio.
L’amore tutto copre, dice Paolo, non perché sia nascosta la verità, di cui anzi il cristiano si rallegra
sempre, ma perché il peccato sia distinto dal peccatore, in modo che l’uno venga condannato e
l’altro sia salvato. L’amore tutto scusa, perché tutti possiamo trovare conforto nell’abbraccio
misericordioso del Padre ed essere ammantati dal suo perdono.
Paolo conclude il suo “elogio alla carità” affermando che quest’ultima, in quanto via eccellente per
giungere a Dio, è più grande della fede e della speranza. Quanto dice l’Apostolo è estremamente
vero. Mentre la fede e la speranza sono “doni provvisori”, cioè legati alla nostra condizione viatica,
di pellegrini su questa terra, la carità invece è un “dono definitivo”, un pegno e un’anticipazione del
tempo ultimo, del Regno di Dio. Ecco perché tutto il resto passerà, ma la carità non avrà mai fine.
Il bene che si opera in nome di Dio è la parte buona di noi che non verrà cancellata, che non
andrà perduta. Il giudizio di Dio sulla storia si compie sull’oggi dell’amore, sul discernimento di ciò
che abbiamo fatto per gli altri in suo nome.
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Come promette Gesù, sarà il guadagno della vita eterna: «Venite, benedetti dal Padre mio,
ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo» (Mt 25,34).
Caritas Internationalis è stata pensata e voluta per dare espressione alla comunione ecclesiale,
l’agape intra-ecclesiale, per esserne un mezzo e una manifestazione, mediando tra la Chiesa
universale e le Chiese particolari, sostenendo l’impegno di tutto il Popolo di Dio nell’esercizio della
carità.
Il vostro compito è, anzitutto, quello di cooperare nella semina della Chiesa universale,
annunciando il Vangelo con le opere buone. Non si tratta soltanto di dare avvio a progetti e
strategie che si rivelino vincenti, che perseguano l’efficacia, ma di pensarsi in un costante e
continuo processo di conversione missionaria. Significa mostrare che il Vangelo è «risposta alle
attese più profonde della persona umana: alla sua dignità e alla realizzazione piena nella
reciprocità, nella comunione e nella fecondità» (AL 201). Per questo, non è secondario ricordare
l’intimo legame tra il cammino di santità personale e la conversione missionaria ecclesiale: chi
lavora per la Caritas è chiamato a rendere testimonianza di tale amore di fronte al mondo. Siate
discepoli missionari, ponetevi alla sequela di Cristo!
In secondo luogo, siete chiamati ad accompagnare le chiese locali nel loro impegno fattivo alla
carità pastorale. Abbiate cura di formare persone competenti, in grado di portare il messaggio
della Chiesa nella vita politica e sociale. La sfida di un laicato consapevole e maturo è più che mai
attuale, perché la loro presenza si estende in tutti quegli ambiti che toccano direttamente la vita
dei poveri. Sono loro che possono esprimere, con libertà creativa, il cuore materno e la
sollecitudine della Chiesa per la giustizia sociale, compromettendosi nell’arduo compito di
cambiare le strutture sociali ingiuste e promuovere la felicità della persona umana.
Infine, vi raccomando l’unità. La vostra confederazione è fatta di tante identità: vivete la diversità
come ricchezza, la pluralità come una risorsa. Gareggiate nello stimarvi a vicenda, lasciando che i
conflitti portino al confronto, alla crescita, e non alla divisione.
Invoco l’intercessione di Maria, Madre della Chiesa, e mentre vi chiedo di pregare per me,
volentieri imploro la benedizione del Signore su di voi e su quanti vi sostengono nella vostra
opera.