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Arriva il Pronto Intervento Sociale

«Mi chiamo Teresa, vengo dal Kosovo, sono scappata da una situazione di possibile guerra con la Serbia. Sono sola e chi mi ha aiutato a fuggire mi ha lasciato in stazione a Verona»; «Siamo una famiglia italiana, vivevamo in un appartamento in provincia di Verona, senza contratto di affitto. Improvvisamente il padrone di casa ci ha dato lo sfratto e da un giorno all’altro ci siamo trovati senza una casa con tre figli minorenni a carico»; «Mi chiamo Mohamed, vengo dall’Egitto, ho 16 anni. La mia famiglia vive in estrema povertà e i miei genitori mi hanno mandato in Italia in cerca di maggior fortuna: la Libia, il mare, la Sicilia e poi sono stato condotto in Questura a Verona».

Bastano queste tre storie accadute in poco più di una settimana per spiegare cosa sono le emergenze sociali e quante ne possono capitare con costanza regolare anche in una città come Verona. Un’emergenza sociale non si può prevedere, è un po’ come una malattia improvvisa, ma se per un grave motivo di salute, esiste il pronto soccorso, per una grave emergenza sociale, cosa c’è? Se un minorenne si trova improvvisamente per strada da solo? Se una persona fragile o una famiglia si trova in situazione di rischio o di grave difficoltà, chi interviene? E aiutare queste persone, in Italia, è facoltativo o un servizio che va obbligatoriamente garantito?

A Verona da poche settimane è attivo il servizio di Pronto intervento sociale (P.i.s.) che ha proprio questo compito, realizzato in partnership tra Comune di Verona, l’Ats Ven 20 ambito territoriale sociale 1 e 2, Caritas Verona, attraverso il Samaritano, Fondazione don Calabria e le cooperative L’Albero e Comunità dei Giovani. Ecco le parole di Chiara Sacco, del Samaritano, responsabile di questo servizio per l’Ats Ven 20.

«Stiamo parlando di un progetto inserito tra i livelli essenziali delle prestazioni socio-sanitarie che il Governo italiano deve assicurare a tutti i cittadini. A livello teorico esiste già dai primi anni 2000, ma per l’attuazione concreta ci sono voluti anni in ogni città d’Italia».

Lei ha usato il verbo “dovere”. Cioè, è obbligo dello Stato assicurare assistenza per le emergenze sociali?

«Obbligo vero e proprio, come è obbligatorio avere un pronto soccorso o il servizio di assistenza sociale in ogni Comune. E questo servizio di pronto intervento sociale deve garantire interventi urgenti rivolti ad ogni area di emergenza sociale: famiglia, minori, anziani, senza  dimora, immigrati, donne vittime di violenza. È un vero servizio sociale d’urgenza che non si è mai realmente attivato in tutta Italia e che ha trovato un livello attuativo concreto solo con l’ultima legge di bilancio del 2022».

Chi attiva questo servizio?

«Gli Ambiti territoriali sociali (Ats), che nel caso in cui stiamo parlando sono l’1 e il 2, quindi la città di Verona e tutto l’est veronese, compreso San Bonifacio, l’Ats Ven 20, in totale trentacinque Comuni. In alcune città metropolitane d’Italia è già presente da qualche anno, per Verona siamo alla prima sperimentazione. Piano piano tutti dovranno adeguarsi: stiamo parlando di un diritto dei cittadini e di un dovere dello Stato».

Come funziona questo pronto intervento?

«Il servizio nei giorni feriali è diurno dalle 14 alle 22 e notturno dalle 22 alle 8 del mattino; mentre nei weekend è praticamente sempre attivo giorno e notte. Serve per essere a disposizione delle emergenze sociali negli orari in cui gli uffici di servizio sociale territoriale sono chiusi».

Cosa significa emergenze? Ci può fare alcuni esempi?

«Sono molteplici e di diversa natura. Recentemente un fenomeno in aumento è quello dei minori stranieri non accompagnati rintracciati sul territorio o che si presentano direttamente in questura. Stiamo parlando per lo più di maschi, perché per le femmine troppo spesso siamo in presenza di vittime di tratta o di violenza per le quali ci sono servizi appositi già presenti a Verona da tempo. Poi, altri esempi riguardano le persone o le famiglie che vengono sfrattate senza contratti regolari di affitto. E molto spesso di mezzo ci sono anche qui figli minori. Ma noi in generale interveniamo ogni qual volta ci siano le condizioni giuridiche che determinano una fragilità: minori e over 65 o persone con problemi di salute fanno parte di queste categorie. Il tutto sempre tenendo in considerazione molte variabili come le condizioni climatiche, perché d’inverno l’emergenza è maggiore, o l’eventuale rete di supporto sociale che una persona potrebbe avere».

Ma com’è una giornata tipo di un operatore del pronto intervento sociale?

«Viviamo con il telefono in mano. Può arrivare in ogni momento una chiamata dalle forze dell’ordine che ci segnalano un caso. Se arriva, innanzitutto, l’obiettivo primario è la messa in sicurezza della persona fragile, poi va data una prima lettura del bisogno per poi passarlo ai servizi sociali di competenza, infine diamo orientamento alle persone all’interno del mondo dei servizi. Molto spesso andiamo noi stessi a incontrare la persona fragile e cerchiamo il posto per collocarla nell’emergenza, in attesa che i servizi sociali si attivino nei giorni successivi. Con i minori stranieri è nostro compito anche quello di cercare una comunità di competenza su tutto il territorio nazionale, anche perché i posti a Verona sono praticamente esauriti».

E se un privato cittadino volesse segnalarvi una persona in grave marginalità?

«Noi collaboriamo direttamente con i Servizi socio-sanitari istituzionali e con varie associazioni di volontariato, ma il nostro numero di telefono ce l’hanno solo le Forze dell’Ordine. Se un privato cittadino dovesse notare situazioni di vulnerabilità sociale, chiama Polizia o Carabinieri e poi saranno loro a contattare il nostro servizio e solo dopo una nostra attenta valutazione professionale, decidiamo se intervenire».

Ma fino ad oggi come si è fatto a Verona?

«Si sperava nella buona volontà di chi lavora nel sociale: qualche assistente sociale, il Samaritano, volontari di altri centri o associazioni di assistenza che operavano nel volontariato o pagavano hotel per persone in emergenza in attesa di altra collocazione. Oggi c’è una struttura dietro a tutto ciò».

Sembra proprio un servizio tutto da inventare…

«Sì, perché si va dalle situazioni di grave marginalità minorile, agli anziani, fino alle famiglie. Ma il pronto intervento non è solo per chi è in difficoltà economica. Si è dovuti intervenire, ad esempio, per dei turisti olandesi, padre e figlia minore, che erano in Italia in vacanza: il papà si è sentito male ed è stato portato in ospedale e per la figlia si è resa necessaria una messa in sicurezza, essendo minorenne da sola sul nostro territorio. Oppure, altro esempio, riguarda quanto accaduto in Emilia di recente. Davanti ad una grande calamità naturale, il pronto intervento sociale di Bologna ha avuto parecchio lavoro. I servizi sociali di tutto il territorio nazionale si stanno misurando con l’allestimento di questo servizio. Per fortuna, anche stavolta, Verona ha risposto presente».

Francesco Oliboni